Il Nido

Informazioni sulla Storia
The Nest.
3.8k parole
4.36
19.4k
00
Storia non ha tag
Condividi questa Storia

Dimensione del Font

Dimensione Carattere Predefinita

Font Spaziatura

Predefinito Font Spaziatura

Font Face

Carattere Predefinito

Tema di Lettura

Tema Predefinito (Bianco)
Devi Login o Registrati per salvare la tua personalizzazione nel tuo profilo Literotica.
BETA PUBBLICA

Nota: puoi modificare la dimensione del carattere, il tipo di carattere e attivare la modalità oscura facendo clic sulla scheda dell'icona "A" nella finestra delle informazioni sulla storia.

Puoi tornare temporaneamente a un'esperienza Literotica® classica durante i nostri beta test pubblici in corso. Si prega di considerare di lasciare un feedback sui problemi riscontrati o suggerire miglioramenti.

Clicca qui
ULISSE
ULISSE
18 Seguaci

Il nido

1

Ero stato con Jone, eravamo andati al cine, aveva gradito, e molto, che la mia mano la frugasse sempre più insistentemente tra le gambe, e non era stato facile, per lei, controllarsi per non saltare dalla poltroncina quando l'orgasmo la sconvolse. Sbrodolò più del solito, rimase a lungo con gli occhi chiusi,

Avevamo il mio impermeabile sulle ginocchia, le presi la mano e me la portai sul pisello che stava scoppiando nei pantaloni. Avevo preparato tutto, anche il grosso fazzoletto paraspruzzi, che avevo battezzato 'baffleboard', ma lei disse che non si sentiva bene, dovevamo andar via, voleva tornare a casa....

Ero più che irritato, straincavolato, perché non ce la facevo proprio più con quella strana ragazza che si arrapava da matti, mi eccitava allo spasimo e poi... al massimo... un lavoretto di mano e anche maldestro.

Lei, però, si faceva sditalinare all'infinito, e godeva da forsennata.

In quando a scopare... neanche a parlarne. Diceva che era vergine e che non ancora non era giunto il momento. Ed io dovevo ricorrere a mille espedienti per scaricare in qualche modo. Quella sera, poi, ero su di giri. Lo avrei messo dovunque, pur di alleggerire la tensione che mi dilaniava.

Al portone, fu un bacetto di sfuggita e un 'a domani' che mi innervosì ancora di più. Mi avviai verso casa, a piedi, cercando di far sbollire la rabbia.

A casa! Bella cosa.

Più o meno la solita cena, poi aiutare zia Ela a sparecchiare, mettersi a guardare la TV in attesa che lei sistemasse i sui due piccoli figlioletti per la notte. E quindi le chiacchiere più vuote e vaghe che potessero immaginarsi.

Sedevamo per un po' sul divano, la TV accesa, noi che chiacchieravamo, fino a quando uno dei due non si alzava e dava la buona notte, con tanto di bacio consuetudinario e monotono.

Il marito, Sergio, era sempre lontano, per lavoro, e tornava ogni tre o quattro settimane, per pochi giorni. Erano gentili, tra loro, ma non credo che ci fossero appassionati trasporti erotici.

Come era zia Ela?

Non saprei proprio esprimere un giudizio definitivo. Era quello che suo dirsi un 'pezzo di donna', alta, robusta, con forme prosperose. Aveva trentasei anni, ed io diciannove.

Ogni tanto mi stuzzicava, mi chiedeva cosa facessi con Jone...

Alzavo le spalle. Che dovevo dire?

Quella sera, messi i bambini a letto, venne, come al solito, vicino a me. Mi guardava con aria sorniona, sorridendo.

"Sei nero, questa sera, Piero. Cosa hai?"

"Niente di particolare."

Mi scrutava da capo a piedi. Avevo accavallato le gambe perché non riuscivo a vincere del tutto l'eccitazione che mi invadeva, insieme a una rabbia a stento nascosta.

"A me lo puoi dire. Forse ti fa bene parlare. Io ti conosco da quando sei nato, abbiamo un po' dello stesso sangue, sono la sorella di tua madre... dunque?"

Altra alzata di spalle.

"Ma che vuoi che ti dica... le solite piccole cose...."

"Tra te e Jone?"

Feci un cenno affermativo col capo.

"E' per questo... che tieni le gambe così strettamente accavallate?"

Ebbi uno scatto.

"Cosa vuoi dire?!"

"Che certe cose le capisco benissimo, e che voi maschietti quando non siete accontentati... rimanete, come dire, tesi, forse sarebbe più esatto dire... rigidi... insomma, in tensione!"

"Può essere."

Si avvicinò ancor più a me, ne sentivo il calore, il profumo caratteristico, un qualcosa di particolare, tra un ché di attraente selvatico e un odore soave e nel contempo affascinante e stuzzicante. Tutto ciò mi eccitò ancora di più, stranamente. La guardai, aveva un'espressione dolce e tenera nel volto, e mi guardava fissamente.

"Piero... io... ho la sensazione che Jone pensi solo a lei... Non è così?"

"Proprio così, zia."

"... e, quindi, lascia il mio nipotino... senza... becchime... Che egoista...."

Mi venne da ridere, malgrado tutto.

"Perché becchime?"

Mi sorrise ammiccando.

"Ma perché è ....il mangime per l'uccellino... no? E non sa, la meschina, che uccello affamato becca dove trova!"

"Hai proprio ragione, zia Ela!"

Venne tanto vicino che quasi mi stava addosso.

Il suo volto, ora, aveva una luce che non conoscevo, una espressione inconsueta. Gli occhi erano sfolgoranti, le narici vibravano, le labbra sembravano assottigliate, erano più rosse del solito, la voce era bassa, quasi roca. Mise una mano sulle mie gambe, proprio dove si incrociavano.

La sua bocca era vicina al mio orecchio.

"Non mi dire che... che... beccheresti anche me, Piero.... Anche me..."

Rimasi sorpreso, turbato, sgomento, e nello stesso tempo affascinato, stimolato, provocato da quelle inattese parole, ed eccitato più di quanto lo fossi. La sua manina, inoltre, aveva finito di carezzare e, poiché io avevo allargato le gambe perché il pisello mi stava facendo impazzire col desiderio di sfogarmi comunque e dovunque, lo aveva decisamente afferrato. Seguitava a guardarmi con occhi imploranti, come se da una mia risposta dipendesse la sua vita.

Non seppi fare di meglio che infilare una mano nella sua scollatura, nel reggiseno e agguantare la prosperosa e soda tetta, dal capezzolo lungo e rigido. Lei mi aveva sbottonato i pantaloni, frugato nelle mutande, lo aveva tirato fuori e si era abbassata a baciarlo, avidamente, lambirlo con la lingua. Lo prese in bocca e cominciò a ciucciarlo con bramosia, era una cosa bellissima, stavo godendo come non mai e le strizzavo il capezzolo...

"Zia... sto per...."

Alzò il viso, ma non evitò il fiotto violentò che la investì, sul volto, sul vestito. Sembrava non dovesse finire mai.

Mi guardò con aria soddisfatta, ma vedevo che non era appagata.

Mi carezzò il volto.

"Meglio adesso, piccolo mio?"

Respirai profondamente, annuii.

Lei seguitava a carezzarmi il fallo, con infinita dolcezza.

Si alzò, senza lasciarlo.

"Vieni, tesoro, la zia vuole pulirti... pulirsi..."

Mi tirai su, come un automa, la seguii nel bagno, sempre col mio pisello nella sua mano.

Mi fece togliere pantaloni e mutandine, anche la camicia... insomma restai nudo come un verme.

Zia Ela mi guardava sempre con quel suo modo strano, con le narici che fremevano come non mai.

Mi fece avvicinare al bidet, sedere, e mi lavò con tanta diligenza che ebbi una immediata erezione, prepotente.

Zia Ela si fermò un momento...

"Allora, piccino, puoi saziare la tua zietta che non ne può più del suo digiuno?"

Non attese risposta, mi asciugò e mi fece sedere sullo sgabello, col fallo svettante. Lei si spogliò di colpo e si mise dinanzi a me.

Era proprio un gran bel pezzo di femmina. Seno abbondante e ben sostenuto, ventre quasi completamente piatto, fianchi robusti, un fitto ricciolume nero sul pube, e gambe belle, formose ma aggraziate.

La guardai sorpreso e affascinato.

"Come sei bella, zia!"

Si avvicinò ancora di più, col suo boschetto nero che lasciava intravedere la carnosità delle grandi labbra.

"Sono bella?"

"Si, tanto..."

"Come mi definiresti?"

"In che senso?"

"Voglio dire, come mi descriveresti a un tuo amico... che so'... una bella...?"

"Una 'sventola', zia, una sventola...."

"Solo così? Dì qualche altra cosa...!"

"Un gran tocco di fica. Sì, proprio un gran fica...!"

"Vedi tu se è come dici...."

Si mise a cavallo a me, prese il glande e lo portò tra le sue gambe. Sentii il caldo umido delle piccole labbra. Sembravano strette, stranamente strette per un corpo come il suo, ma si impalò con lentezza voluttuosa, con le pareti della vagina che carezzavano il mio fallo, lo stringevano... e poi cominciò la sua cavalcata che mi munse meravigliosamente. Sentivo che si contraeva deliziosamente, e lei gemeva, mugolava, aumentava la galoppata, frenetica, fin quando si avvicinò a me, portando una tetta alla mia bocca. La ciucciai bramosamente, e ne sentivo le ripercussioni nel suo grembo. Sussultò, sobbalzò, travolta da un orgasmi incontenibile, ripetuto, che accelerò la conclusione del mio piacere, e il mio seme la invase.

Nello stesso istante un lungo 'aaaaaah' liberatorio sfuggì dalle nostre labbra, e restammo avvinti. Sudati, ansimanti, ma paghi.

Fu zia Ela che si staccò un po', mi guardò, mi baciò sulla bocca.

"Va bene così, piccolo mio?"

"Per ora si, benissimo..."

Sorrise.

"Per ora?"

"Non mi dirai che dopo che al mio uccellino hai fatto conoscere così bel nido, lo hai sfamato in tal modo, lo lascerai ancora morire di fame."

Sentii che voleva carezzare il mio fallo con la sua vagina.

Mi guardò provocante.

"E Jone?"

"Si vede che non era il nido adatto per il mio uccellino..."

"Altro che uccellino, tesoro mio... Vuoi venire a letto con me?"

"Che domanda mi fai! Non ti lascerò mai più. E ti chiamerò 'Nesty', zia Nesty."

Mi guardò interrogativamente.

"Nesty?"

"Si, ho capito che sei il vero, l'unico mio nest, il mio love-nest, il mio nido d'amore."

"Cosa diremo a Sergio che ti sentirà chiamarmi così?"

"Non diremo niente. E' legge naturale che chi lascia il nido vuoto lo ritrova occupato!"

A andammo a letto, dove non riuscivamo a staccarci per un solo istante.

Era splendidamente voluttuoso giacere tra le traccia di Nesty, su quel corpo caldo e palpitante, instancabile.

Non fu la nostra volontà, né la mancanza di desiderio, a farci appisolare, ma le imperative leggi della natura che richiedevano una sosta. Specie per me, anche se ero giovane ed esuberante.

^^^

Il nido

2

Aprii gli occhi, intorno era tutto buio, solo il chiarore della illuminazione stradale che filtrava dalle tapparelle non completamente abbassate.

C'era qualcosa di strano in quel risveglio anzitempo, e non era come le solite mattine, quando, appena aperti gli occhi, mi stiracchiavo pigramente.

Non ero solo nel letto. Sentivo il tepore d'un corpo caldo sulla mia pelle, sulle mie ginocchia. Qualcosa di morbido e sodo nel contempo. Non so spiegarlo. Nelle mie mani, inoltre, c'era qualcosa di altrettanto piacevole e caldo, e nel centro delle palme sentivo alcunché di turgido. Carezzai, presi tra le dita quel grazioso ciccetto, lo strizzai leggermente, e l'incantevole rotondità che poggiava sul mio grembo si mosse un po', si contrasse, e strinse piacevolmente 'birillo' il mio pisello che se ne stava beatamente infilato al caldo.

Fu come un lampo, il ricordo dell'accaduto.

Quella era zia Ela!

Che scopate avevamo fatto, indimenticabili, forse uniche.

Riflettei, anche, che non avevo più pensato a Jone. Era evidente che c'era solo dell'attrazione fisica, alimentata soprattutto dalla mia pressante esigenza sessuale. Infatti, appagatala, e come (!), con quella gran chiavatrice che s'era dimostrata zia Ela, di Jone non mi fregava più niente.

Il mio sesso, al caldo tra le magnifiche natiche di zia Ela, era dello stesso parere, cominciò a ringalluzzirsi, già dimentico delle generose prove non da molto magnificamente superate con successo.

Ela si mosse appena, scesi con una mano sul suo grembo, dischiuse appena le cosce, e le rinserrò non appena la mano spinse curiosamente un dito per esplorare la valle tra le grandi labbra e il prezioso scrigno che custodivano. Era umido, appiccicoso, e vibrante l'ingresso della calda vagina, e il clitoride, appena sfiorato, si erse e sussultò.

I glutei si strinsero, il suo bacino si arcuò, e 'birillo', ormai, era nel pieno vigore delle sue recuperate forze.

Zia Ela cominciò dolcemente a sculettare, allungò la mano e mi carezzò la nuca. Il mio uccellino pigiava sul buchetto fremente, lei abbassò l'altra mano, allargò le gambe, prese il glande e gli fece prendere il posto del dito. Una perfetta manovra dei suoi fianchi, e 'birillo' si trovò ad entrare, vittorioso, accolto con voluttuoso entusiasmo.

Una cosa meravigliosa: chiappe tonde e dure sul mio grembo, 'birillo' sprofondato in lei, una mano che titillava un capezzolo e l'altra che si dava da fare col clitoride.

Si dimenava deliziosamente, zia Ela, e cominciava a gemere. Io davo dei colpi golosi e ingordi che facevano battere il glande sul fondo della vagina, eravamo in perfetta armonia. Insomma, ci davamo dentro con tutte le forze, fin quando il suo gemito divenne affannoso, ed ancora una volta fu posseduta da un fremito travolgente, incontrollabile, che si rinnovò non so per quante volte... E 'birillo' non so dove riuscì a trovare il balsamo caldo che ancora una volta riuscì a spandere in quel grembo palpitante.

La strinsi forte a me, e lei si strinse a me, come potè.

Solo allora mi venne in mente che non avevamo adottato alcuna precauzione.

Glielo sussurrai timidamente nell'orecchio.

Mosse ancora i fianchi.

"Ma sei matto? 'Lo' voglio sentire così... ci penso io..."

Ela guardò l'orologio sul comodino.

"Dobbiamo alzarci, Piero, devo togliere le lenzuola... fra poco si svegliano i bimbi... Devi andare in camera tua...!

Rinnovai la stretta delle braccia, e lei quella del suo sesso.

A malincuore sgusciai da lei, mi alzai, presi le mie cose.

"Vado nella doccia."

"Ciao, tesoro... dammi un bacio..."

Aveva acceso la luce.

Così, nuda, sul letto, divinamente disfatta, mi guardava.

Era bellissima, ammaliante, incantevole, stimolante, irresistibile.

Non avevo mai visto zia Ela così splendida, magnifica, stupenda.

Glielo dissi.

"Sei tu splendido, Piero, fantastico."

Allungò la manina, afferrò 'birillo', lo strinse forte, si chinò a baciarlo.

Raccolsi le mie cose, mi recai nella doccia.

Un salutare fiotto d'acqua tiepida, e poi, avvolto nel telo a spugna, me ne andai nella mia camera, mi distesi sul letto.

Quando riaprii gli occhi la casa era vuota. Guardai l'orologio. Zia Ela, certo, era andata ad accompagnare Carla, di 6 anni, e Milo di 4, a scuola. Elementari e asilo erano nello stesso edificio. Rosetta, la donna ad ore, non era ancora arrivata. In cucina, sul tavolo, era pronta la colazione per me. Sapevo che avrei dovuto solo scaldare il caffellatte, ma preferii berlo a temperatura ambiente. Feci un'abbondante colazione, mi vestii e decisi di andare all'Università, c'era una lezione, di li a poco.

^^^

Non riuscii a prestare molta attenzione alla pur interessante lezione. Pensavo sempre a quanto inaspettatamente e improvvisamente era accaduto, alla travolgente e voluttuosa sensualità di zia Ela, e nel contempo alla sua tenerezza, premura, passione, ardore. Non trovavo le parole per descrivere il calore bramoso, sensuale, carnale col quale riusciva a farmi andare in brodo di giuggiole, come un matto, e lei stessa a godere fino a restare senza fiato, e abbandonarsi come in estasi, in preda a incontenibile ebbrezza.

Mi eccitavo al solo ricordo.

Che dovevo fare?

Si avvicinava l'ora del pranzo.

Tornare a casa come se nulla fosse accaduto?

Telefonarle che rimanevo fuori perché avevo un'altra lezione?

Avevo timore di due cose, che pur erano agli antipodi.

Temevo che non ci sarebbe stato un seguito, e che tutto era iniziato e finito quella indimenticabile notte.

Ma temevo, nello stesso, tempo, che, malgrado la mia giovane età e l'inarrestabile eccitazione che mi pervadeva, non sarei stato in grado di appagare completamente quella femmina, avida di sesso, impetuosa, piena di vita, appassionata, focosa e scatenata. Era una serena riflessione basata sui naturali limiti che la natura pone ad ogni maschio normale.

Cosa mi attendeva a casa?

Per saperlo, l'unica cosa da fare era tornarvi, per il pranzo.

Presi il bus, e dopo circa mezz'ora bussavo alla porta di zia Ela, avevo dimenticato le chiavi.

Mi aprì lei, particolarmente elegante, delicatamente truccata, e con occhi sfavillanti. Sembra avere dieci anni di meno.

"Ciao Piero."

E mi baciò sulla guancia, come era usa fare.

"Ciao zietta."

"Tutto bene?"

"Si, grazie."

"Fra un quarto d'ora si va in tavola, Rosetta ha preparato tutto."

Dopo aver rigovernato la cucina, Rosetta se ne sarebbe andata. I bambini terminavano il doposcuola alle cinque del pomeriggio.

Avevamo due ora di tempo, dall'uscita di Rosetta a quando lei si avviava per la scuola, vicinissima.

Cosa sarebbe accaduto?

Come se mi avesse letto nel pensiero, appena mi sedetti a tavola, zia Ela mi chiese se ero disposto ad andare al bar sotto i portici per prendere il nostro consueto caffè pomeridiano. Saremmo rimasti seduti un po' e poi andati a prendere i bambini.

Mi dichiarai entusiasticamente d'accordo.

Ero certo di essere perfettamente disinvolto, come sempre, ma forse non sapevo nascondere i pensieri che attraversavano la mia mente.

Sedemmo al bar, ordinammo i caffè.

Fu zia Ela a cominciare la conversazione prendendola un po' alla lontana, domandandomi come procedeva la preparazione per il prossimo esame, per poi passare alla raccomandazione che non dovevo distrarmi 'troppo'. Evidentemente, riflettei mentre lei proseguiva, quel 'troppo' aveva un significato, forse una specifica allusione al surmenage al quale ci eravamo abbandonati.

La rassicurai.

"Certo, zia, sto studiando. Va tutto bene. Non potrebbe andare meglio."

"Forse devo essere meno presente nella tua vita... non so come spiegarmi..."

"Ma è proprio la tua presenza, e soprattutto il nuovo modo di esserlo, che mi spinge a studiare, a non perdere neppure una sessione...."

Mi lanciò uno sguardo ironico.

"Così potrai finire presto l'università e finalmente liberarti di questa vecchia e invadente zia, vero?"

"Non provocarmi a mancarti di rispetto..."

"Che vorresti dirmi?"

"Che mi accorgo che non hai capito niente."

"E tu cosa hai capito?"

"Che mi hai aperto le porte del paradiso."

Posò la mia mano sulla sua, incurante di chi potesse vederci.

Mosse leggermente il capo, e nei suoi occhi c'era una luce meravigliosa.

"Angelo del paradiso, tesoro mio..."

"Credevo che volessi liberarti di me..."

"Sto vivendo un sogno, forse quando mi sveglierò morirò per il dolore..."

"E tu, allora, seguita a sognare... tra le mie braccia..."

"Vuoi?"

Annuii con forza.

Andammo a fare un giretto, e poi ci recammo alla scuola dei bambini, quindi a casa.

Mi misi a studiare.

Dopo un po' zia Ela entrò nella mia camera, alle mie spalle, mi abbracciò, mi carezzò i capelli, li baciò.

"Allora, amore mio, mi farai sognare tra le tue braccia?"

"Non sarà un sogno, zia, sarà tutto vero."

Mi baciò di nuovo la testa, una fugace carezza sul volto e uscì.

Ci rivedemmo a cena.

Non demmo alcun seguito alla conversazione al bar.

Al termine, sparecchiata la tavola, Zia Ela, disse che andava a mettere a letto i bimbi, e lei, alquanto 'stanca' e sottolineò con la voce 'stanca', sarebbe andata in camera sua, dopo circa una mezz'ora.

Io andai nel bagno piccolo e indugiai nelle mie pratiche igieniche della sera. Tornato in camera, mi misi in pigiama, con pantaloncini corti, e cominciai a sfogliare una rivista, guardando le pagine senza vedere nulla.

Finalmente, l'orologio mi disse che era passato più di mezz'ora. Uscii in corridoio, mi avvicinai alla porta di zia Ela, bussai pianissimo. Una voce sommessa disse di entrare.

Entrai.

Zia Ela era supina sul letto, sopra al lenzuolo, coi capelli neri sparsi intorno alla sua testa, il volto inebriante ed inebriato, un braccio sotto il capo, l'altro lungo il corpo. Nuda, completamente nuda, col seno rigoglioso, il ventre liscio, il pube impreziosito da deliziosi riccioli nero, le gambe appena dischiuse, s'intravedeva il roseo del suo sesso. Fianchi meravigliosi, eccezionali, come il tondeggiare delle sue natiche.

Rimasi incantato, quasi senza fiato. Fu istintivo sdraiarmi e poggiare il volto su quel boschetto serico, muoverlo, scendere tra le sue gambe, saettare la lingua perché si insinuasse in quella foresta magica e affascinante.

Con un movimento veloce, felino, zia Ela allargò le gambe e le intrecciò dietro la mia nuca, tirandomi a lei. Le grandi labbra s'erano schiuse, la lingua entrò nella vagina umida e palpitante, quasi la succhiò; il naso batteva sul clitoride, lei aveva preso a dimenarsi freneticamente, con le mani sui miei capelli. Io allungai le mie e afferrai le rigogliose tette, tormentandole i capezzoli. Quasi mi soffocava, stringendo le gambe, appassionatamente, inarcando il bacino, e il suo grembo sussultava sempre più in fretta, sentii un piacevole sapore asprigno sulla lingua, e zia Ela si abbandonò, di nuovo, col suo caratteristico affannoso gemito, roco e profondo.

ULISSE
ULISSE
18 Seguaci
12