Latte Macchiato

Informazioni sulla Storia
Da una ciotola di latte ad un vincolante gioco di potere.
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Mia era tornata da Jon come un randagio.

Non era spaventata, né sospettosa: lui era riuscito a instillarle fiducia e sicurezza nel corso dei lunghi pomeriggi che avevano passato assieme. Un successo, insomma. Jon pensava spesso a Mia, forse anche troppo spesso. Ma per lui accadeva sempre così, dopotutto.

Come al solito, avevano parlato per ore seduti sul chaise longue nel salone, intrecciati uno nell'altra in una morsa che avrebbe allarmato qualunque osservatore. Ma non si erano accarezzati né baciati né tantomeno amati. Questo ovviamente non implicava che i pensieri di Mia fossero stati puri: si stupì anzi della propria arditezza, distratta dalla curva della mandibola di Jon, dall'accenno della sua clavicola sotto la pelle stirata, dalle perline di vino cadute sulle sue dita mentre si riempiva il calice (a lei non era stato offerto nulla). Si rese conto che non si era mai sentita così coinvolta o complicata dalla presenza di un uomo: non se lo era mai permesso, a essere sinceri. Ma con Jon lei si sentiva protetta: avrebbe pagato qualunque prezzo per assaporare la calma finalmente concessale.

Gli era tremendamente grata. A volte, la mole del debito nei confronti di quell'uomo le grattava alla coscienza. Ma lui non aveva mai alzato un dito contro di lei. Le aveva solo chiesto certi favori: portare i capelli in una morbida coda di cavallo in sua presenza, mettersi più spesso un vestito che le lasciava la schiena scoperta, truccarsi di fronte a lui... piccoli piaceri. Lui non le aveva mai chiesto da cosa scappasse là fuori, perché desiderasse così ardentemente la presenza di un uomo che la accogliesse nella propria casa. Era come se sapesse già la risposta.

Jon d'improvviso si allontanò senza emettere una parola. Sorpresa, Mia fece per chiamarlo e fu solo allora che si accorse di come la sua voce suonasse raspante e la sua bocca fosse arsa dal troppo parlare. La vista di lui che tornava con un piattino e una bottiglia di latte l'aveva per un attimo turbata, ma la sua fiducia nel fatto che Jon non avrebbe mai offerto un rinfresco ai gatti (che spesso scivolavano per la casa) piuttosto che alla sua ospite d'onore rimase incrollabile. Jon pose il piatto su un angolo del chaise longue e vi svuotò lentamente il contenuto di metà bottiglia, cosciente dello sguardo affamato di Mia che contava ogni goccia di latte versato. Prevedibilmente i gatti accorsero dalle crepe nella casa miagolando ostinati, strusciandosi sulle gambe del mobile e del loro padrone adottivo.

"Hai sete, Mia?"

"Sì, molta."

"Ti ho portato del latte, dolcezza."

Gli occhi di lei s'illuminarono di sorpresa e gratitudine e porse le mani per il piattino: aveva fatto bene, come sempre, a fidarsi di Jon. Si fermò con le braccia tese, interdetta dall'inaspettato ritrarre della bevanda dalla sua portata. Jon aveva allontanato il piatto, e contemplava pensieroso la superficie tremante del latte.

"Mia, faresti una cosa per me? Qualcosa che mi farebbe davvero molto, molto felice?"

Mia si accorse che ad animarla adesso non era più la brama della bevanda leggermente calda e dolce, quanto l'ansia di lisciare la fronte di Jon da qualunque cosa lo corrucciasse in quel momento. Era spesso colta da questo desiderio.

"Qualsiasi cosa."

"Berresti questo latte per terra, inginocchiata sul pavimento? La ciotola è larga e poco profonda, non ti macchieresti se lo lappi piano. Faresti questo per me?"

Un migliaio di pensieri corsero dietro gli occhi della ragazza: bere per terra come un animale? hai finito i bicchieri per caso? e tu mi guarderai? sono abbastanza disperata dalla sete per umiliarmi così? sottomettermi a Jon? beh, spero che il pavimento non sia troppo sporco... ma i gatti cosa berranno?

Jon lesse il suo assenso senza che Mia lo dovesse nemmeno pronunciare. Pose la ciotolina in terra davanti ai propri piedi e le rivolse un sorriso indecifrabile. La ragazza scivolò in ginocchio sul pavimento freddo, ma prima di piegarsi in avanti verso il latte lanciò un ultimo sguardo all'espressione di Jon: imperturbabile, a proprio agio, conciliante. Si mise a quattro zampe e abbassò la testa. Lappare il latte le costò molta fatica: si era bagnata il mento e la punta del naso quasi subito. A metà impresa si rese conto contemporaneamente di quanto fosse assetata e di quanto fosse esposta la propria posizione, con le natiche sollevate e i gomiti aperti, la schiena curva verso il basso, le scapole tese e il continuo dondolare della nuca. Azzardò un'occhiata veloce verso Jon seduto davanti a sé: il suo sguardo risalì solo fino alle sue ginocchia, poi si abbassò nuovamente in concentrazione.

Finì il latte con quello che avrebbe successivamente supposto fosse decoro, considerate le circostanze. Riuscì a cancellare le macchiette di latte dal viso prima di drizzarsi e non aveva nemmeno fatto rumori imbarazzanti, neanche quando aveva leccato il fondo della sua ciotola. Accovacciata sui talloni, ristorata dalla bevanda calda e con la carezza benevola di Jon sulla propria guancia, Mia si permise un sorrisetto vittorioso.

La improvvisa, lampante consapevolezza che Jon non aveva ancora finito con lei le annodò lo stomaco.

"Tesoro, sembravi così assetata! Ne vuoi ancora, vero?"

Prima che lei potesse alzare la voce per rifiutare la cortesia, il piattino era stato nuovamente riempito con il latte avanzato. Jon glielo piazzò con decisione di fronte alle ginocchia, facendo cozzare la ceramica con un pochino più cocciutaggine del dovuto sul pavimento. Mia aveva nuovamente catturato tutta la sua attenzione. Jon era seduto sull'orlo del chaise longue, le mani strette attorno al bracciolo di legno. Era letteralmente teso verso di lei.

Mia abbassò lentamente la faccia verso il piattino. Non era più a proprio agio. Tentò di lanciare un'occhiata verso Jon, ma da quell'angolazione non riusciva più a vederlo. Tutto quello che poteva fare era intingere la lingua in quel maledetto latte.

Iniziò a bere piano. Stavolta le risultò più facile, aveva capito la strategia. Si rallegrò nel costatare che c'era molto meno latte rispetto al primo turno: la sua lingua lambiva già il fondo della ciotola. Sarebbe tutto finito molto più velocemente di quel che aveva temuto. La fretta la tradì: un gorgoglio rumoroso le sfuggì, e nell'imbarazzo alzò lo sguardo verso Jon.

L'uomo sembrava pietrificato dalla vista di lei. La sua mano era stretta attorno al cavallo dei suoi pantaloni, si muoveva lentamente dall'alto in basso, accarezzandosi leziosamente.

Mia s'immobilizzò, gli occhi e la bocca spalancati.

"Piegati come se stessi per bere di nuovo, Mia."

Il tono era tranquillo, come se le avesse che tempo facesse. Era però impossibile non fare caso alla punta intensa di controllo, di potere. Era un ordine, non più un invito: era irresistibile, ecco la verità. La ragazza fece lentamente come le era stato ordinato. Trasalì quando sentì Jon scivolare via dal chaise longue e inginocchiarsi accanto a lei. Le appoggiò il palmo sulla nuca, poi iniziò a risalire la sua schiena in una carezza continua verso il suo fondoschiena proteso. La mano le impastò per bene prima una natica, poi l'altra. Jon si angolò dietro di lei. Mia teneva gli occhi strettamente serrati, riusciva soltanto a sentire l'odore del latte a meno di cinque centimetri dalla punta del suo naso. Jon le sollevò il vestito, rimboccandolo su se stesso in morbide pieghe che ricadevano sulla schiena della ragazza. Tracciò l'orlo delle mutandine, passando un'unghia sul contorno fra pizzo e natica. Avvicinò il volto al sesso di lei e inspirò a fondo. Poi espirò rumorosamente dalla bocca, soffiando sul tessuto ormai leggermente umido.

"Hai un profumo delizioso, Mia."

Solitamente Jon non chiedeva alle ragazze che sceglieva (e ne sceglieva molte) di umiliarsi con giochini come quello del latte. Solitamente, se lui voleva una ragazza se la prendeva anche con le scuse più patetiche: cedevano tutte, tanto. Jon sapeva sceglierle bene, sapeva distinguere fra quelle sicure di sé e quelle fragili. Aveva sviluppato un tatto raffinatissimo con cui palpare i nervi sfoggiati a fior di pelle dalle più insicure. Mia era una di quelle ragazze. Ma quel che gli aveva fatto veramente girare la testa era esattamente quanto lei volesse essere umiliata. Jon non sentiva alcun rimorso: certo, aveva approfittato della sua ingenua fiducia. Ma a volte era colto dal piacevole dubbio che forse Mia avesse sin dal primo momento saputo esattamente a cosa andasse incontro. Ora che la situazione si era rivelata in tutta la sua sordida eroticità, Mia era incapace di sfuggire: stava implorando di essere catturata, stava implorando di essere scopata. Anche se lei non lo avrebbe ancora ammesso ad alta voce.

Ma Jon aveva grandi aspettative. Sperava addirittura di non dover nemmeno ricorrere alle manette che aveva previdentemente sepolto dietro i cuscini del chaise longue.

Le divaricò leggermente le gambe. La ragazza era scarlatta per la vergogna. Non osava aggiustare la propria posizione dolorosamente esposta. Le facevano male le spalle, in tensione ormai da una decina di minuti.

Jon si sistemò fra le cosce di Mia, massaggiandosi con decisione la lunghezza della propria erezione celata ancora sotto i pantaloni. Ammirava quella piega di tessuto delle mutandine che si stendeva proprio fra le natiche di Mia. Si protese in avanti, tracciando la stessa linea con le proprie dita. In quel momento le braccia della ragazza cedettero ed ella tentò di rialzarsi. La reazione di Jon fu del tutto inaspettata. In un lampo le aveva premuto la testa verso il basso, schiacciandole la faccia nella ciotola. Il latte avanzato schizzò dappertutto. Con l'altra mano le assestò uno schiaffo potente sulla natica destra. Mia crollò per l'intensità dell'attacco. Il braccio di Jon la sorresse per la vita, obbligandola a rimettersi a gattoni.

"Non ti muovi senza il mio assenso, hai capito?"

Sibilò a denti stretti. Mia non rispose, annuì soltanto. Era completamente sopraffatta. Sapeva che forse ce l'avrebbe fatta a scappare, sgusciando dalla presa e correndo via come una furia. Non era però così sicura che il suo tentativo sarebbe andato a buon fine. Ma peggiore del rischio della cattura era il rischio dell'abbandono: come avrebbe fatto senza Jon? Se si fosse sottratta adesso, non avrebbe mai più goduto dell'inebriante senso di sicurezza che quell'uomo trasudava. Mia non poteva sopportare il non essere in suo potere. Si zittì.

Jon si sfilò i pantaloni, senza togliere nemmeno una volta una mano minacciosa dal fondoschiena di Mia. Fece scorrere il pene teso prima sul sesso di lei, poi fra le sue natiche profferte. Socchiuse gli occhi, respirò a fondo. Sentiva la ragazza sciogliersi al suo tocco, la sentiva bagnarsi ed eccitarsi e le sue gambe tremare dall'anticipazione piuttosto che dallo sforzo. Premendo sulla sua schiena, la face sdraiare a bocconi sul pavimento con le braccia incrociate sotto il mento e le gambe un pochino più chiuse. Si calò sul suo corpo allungato, sfruttando la setosità delle mutandine per scivolare con scioltezza lungo le sue natiche: adorava quella sensazione. Jon le infilò le dita in bocca, ormai certo che lei non avrebbe tentato di morderlo. Lasciò scivolare la mano sotto la pancia ansante di Mia e sul suo sesso rovente. Apprezzò tacitamente l'evidente cura che Mia dedicasse a se stessa: peli pubici graziosamente corti e allineati in una stretta strisciolina.

"Mia?"

Lo ascoltava.

"Sento che ti sta piacendo. So che ti eccita rendermi felice, te l'ho letto in viso così tante volte quando venivi a trovarmi. Ti ho messo alla prova per molto tempo, chiedendoti di servirmi, di aiutarmi, di deliziarmi. Ti sto chiedendo un'altra cosa adesso: sono sicuro che anche questo ti piacerà da impazzire, perché è qualcosa che mi soddisferebbe veramente, veramente tanto. Vorrei che tu adesso venissi da me quando ora mi siederò sul chaise longue, ti accucciassi fra le mie gambe e leccassi il mio cazzo. Poi, quando ti dirò di farlo, vorrei che tu me lo succhiassi. Vorrei che tu lo succhiassi a fondo, vorrei sentire la tua piccola gola contrarsi sopra la mia carne. Vorrei vedere le lacrime nei tuoi occhi mentre ti sforzi di inghiottirmi. Faresti questo per me?"

Jon si alzò subito, si accomodò sul divano. Fissò Mia negli occhi.

"Lo faresti?"

La ragazza lo raggiunse immediatamente: non aveva resistito all'assertività dell'invito. Iniziò a leccarlo piano, prima solo con la lingua, poi socchiudendo le labbra attorno al cazzo di Jon proprio come richiestole. Non guardava l'uomo in faccia, teneva gli occhi chiusi. Lui fu sul punto di redarguirla per questo dettaglio, poi si trattenne. Era stato così tante volte in situazioni simili che la sua vita si stava appallottolando in un'unica lunga immagine delle sue mani che impastavano il culo tremante di una ragazza, come burro ammorbidito al microonde. Palpava con familiarità il tremore che scuoteva le loro cosce, lo sentiva tramutarsi in terrore quando lui le iniziava a spogliare, in odio per se stesse quando iniziavano a eccitarsi, in piacere quando iniziavano a divertirsi sul serio. Personalmente, Jon prediligeva il secondo tipo di fremito. Adorava --semplicemente adorava- il far venire una ragazza che non ne aveva la minima intenzione. Era come possederla due volte: spezzarla in corpo e mente.

Voleva spingere Mia al limite: voleva eccitarla al punto da accogliere il suo cazzo come se non desiderasse altro al mondo in quell'attimo.

Jon sentiva la forma delle manette nascoste dietro la sua schiena. La loro tacita presenza gli strappò un sorriso. Le sue mani serpeggiarono fra i capelli di lei, chiudendosi in pugni sulla sua nuca. Iniziò a guidare il movimento della testa di Mia con sempre crescente irruenza, fino a quando ne sentiva le lacrime rigare le proprie cosce e la gola di lei palpitare attorno al proprio cazzo. Jon socchiuse gli occhi e gettò la testa all'indietro, in estasi. Permise alla ragazza di mantenere il ritmo autonomamente, poi si sottrasse alla sua bocca. La face sedersi accanto a lui sul chaise longue e asciugarsi gli occhi con il retro della mano.

"Stai andando benissimo, Mia. Adesso vorrei vedere quanto ti sei eccitata a succhiarmi: vorrei che tu ti togliessi questo bel vestito davanti a me, per me, e mi dessi le tue mutandine."

D'improvviso, la ragazza non era più sciolta come prima. Jon si domandò quale fosse il problema universale delle donne con lo spogliarsi davanti a un uomo, perché farsi scopare la bocca sì ma esporre la propria pelle fresca no. Non voleva che Mia fosse a disagio, voleva consolarla, incoraggiarla. La trasse più vicina a sé, scorrendo le mani su ogni nuovo centimetro di carne i vestiti svelavano. Baciò i suoi seni pieni, passò la punta della lingua sui nei e arrossature del suo corpo, inspirò profondamente il profumo invitante del suo sesso.

"Sei bellissima, mio dio, sei bellissima..."

Mia si stava calmando, si svestiva con maggiore disinvoltura: stava ricadendo nella trappola. Le mutandine furono allungate a Jon, accompagnate dallo stuzzicante rossore delle guance di Mia: il tessuto era impregnato della sua voglia.

In un baleno lui la afferrò per la vita e distese con violenza sul divano davanti a sé. La coprì con il proprio corpo, macinandole i seni sodi sotto il proprio petto. Mia si dibatté, terrorizzata dall'attacco repentino. Jon si allontanò abbastanza dal corpo della ragazza divincolante per assestarle uno schiaffo in pieno viso, strappandole un grido.

"Stai zitta: è questo ciò che vuoi, quello che vuole il tuo corpo. Sei bagnata come una cagna, ti piace umiliarti di fronte a me. Non puoi negarlo."

Afferrandole una manciata di capelli, le sprofondò la faccia nel collo e le morse la spalla. Non era un morso profondo, era giusto abbastanza cattivo per chetarla. Mia s'immobilizzò sotto di lui, improvvisamente molto consapevole della ingombrante erezione stretta contro la propria coscia.

Molto lentamente, gli occhi fissi nei suoi, Jon sbatté qualche volta il proprio cazzo contro la gamba di Mia, godendo del suo trasalire.

"Voglio che tu me lo chieda per favore, Mia. Pensavo di doverti chiedere di accarezzarti e di giocare con te stessa per bagnarti proprio come piace a me, ma sei talmente eccitata che stai ansimando al solo pensiero di farti sbattere da questo cazzo. Desidero che tu mi chieda, per favore, di penetrarti."

Gli occhi di Mia erano stralunati: Jon pareva averle letto nel pensiero, piuttosto che semplicemente decodificato il suo eloquente linguaggio del corpo.

"Jon... Jon, per favore. Per favore, lo voglio."

"Cosa vuoi, Mia?"

"Che tu mi scopi."

"Con le dita, forse? Pensi che ti bastino due piccole dita?"

"No, no... voglio che tu mi scopi con il tuo cazzo. Per favore."

Nonostante le gambe di Mia non fossero molto aperte, Jon la penetrò una prima volta lentamente, assaporando il lungo movimento e la stretta accoglienza. Fu come immergersi in un olio caldo, in un guanto di seta. Non si fermò quando sentì Mia emettere un singolo singhiozzo, né quando lei esclamò per il dolore quando la sua ferrea erezione colpì il fondo del suo sesso. Jon si fermò quando il suo cazzo era completamente impresso nel corpo tremante di Mia. Si permise anche il piacere di guardare giù, fra le cosce di lei, e godere della vista dei peli pubici di entrambi intrecciarsi gli uni negli altri. Si sfilò di scatto, le spalancò per bene le gambe con irruenza e iniziò a sbatterla con lunghi e veloci colpi di cazzo. Il sesso di Mia prese fuoco, gorgogliava soddisfacentemente a ogni sferzata. I loro ventri sudati applaudivano sonoramente.

Jon le infilò un dito nella bocca, lasciando che lei glielo succhiasse e leccasse avidamente. Mia aveva gli occhi chiusi e le guance scarlatte, visibilmente concentrata. Jon sorrise a denti stretti. Un dubbio delizioso lo aveva appena sfiorato: questa maledetta ragazza stava cercando disperatamente di non venire.

Si ritrasse per un attimo, la rovesciò sul chaise longue e la trasse a quattro zampe riposizionandosi. Erano nella stessa posizione in cui Jon aveva iniziato a rivolgerle la violenza che lei tanto bramava. La penetrò, ancora una volta ignorando il mugugno di dolore strappatole nell'irruenza. Jon si tese in avanti facendo scorrere le mani dai seni al sesso di lei. Proprio come Jon aveva sospettato, non appena le sue dita le sfiorarono il clitoride, Mia si dibatté. Jon tentò ancora una volta di accarezzarla, ma lei si ritrasse rinculando.

"Mia, Mia... davvero pensi di non darmela vinta? Credi di poterti rifiutare questo orgasmo? Ti illudi che il tuo corpo ti dia ascolto?"

"Non puoi costringermi a venire."

Mia aveva ringhiato. L'ennesimo schiaffo sonoro si abbatté sulla sua natica, seguito da una cascata di altre manate violente. Jon ricominciò a scoparla con foga ancora maggiore; la ragazza aveva accelerato inconsapevolmente il ritmo, ondeggiando disperatamente sul cazzo di Jon e venendogli incontro sempre più insistentemente. Esigendolo.

"Hai ragione, non ti posso costringere io: lascio quel compito al tuo corpo. Io lo devo soltanto convincere, e godermi lo spettacolo."

Le manette, nascoste tutto il tempo a solo pochi centimetri da lei, la colsero di totale sorpresa. Un attimo le sue mani erano libere, l'attimo seguente erano ammanettate a un bracciolo del divano. Jon si permise uno sbuffo compiaciuto: era diventato un maestro nella tecnica. Lasciò che le sue dita tastassero i tremori che scuotevano il corpo della ragazza imprigionata: sentiva terrore, ribrezzo, incertezza, eccitazione, follia. La stava completamente spezzando: sotto le sue mani, Mia stava combattendo fra le contrastanti emozioni che lui le aveva inflitto con quelle semplici manette.

Jon dovette concentrarsi seriamente per non venirle di getto sulla schiena: fantasticava di poter stravolgere le sue ragazze in questo modo delizioso, era questo il momento in cui si sentiva più in controllo: quando poteva giocare non solo con il loro corpo, ma anche con la loro mente. La stese sulla schiena, compiacendosi della vista delle natiche scarlatte per gli schiaffi. Si masturbò con violenza sul sesso di Mia, sfregando ad un ritmo frenetico la testa del cazzo sul clitoride di lei. La ragazza si contorse, arcuando la schiena e ansimando come un animale.

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