Mariaki

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Quello che mi piaceva...
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Quello che mi piaceva, di Marjaki, era soprattutto il poderoso sedere che il tanga evidenziava.

Il filo giallo del costume spariva tra le chiappe sempre sode, malgrado i suoi quasi trentotto anni, e il mio coso si ergeva, incontenibile e goloso, invidioso di non poterne prendere il posto.

Mentre era in giardino, con lo sguardo rivolto alle piante, forse senza vederle, l'avevo fissata nella mia digitale. Poi, ero andato in un laboratorio specializzato e l'avevo fatta riprodurre in un poster che avevo fissato all'interno dell'anta del mio armadio.

Marjaki aveva incontrato alla Messa domenicale il giovane ufficiale italiano, componente della missione militare in Serbia, lo aveva subito considerato attraente. Lui, poi, di fronte a quel pezzo di ragazza, giovanissima e irresistibile, era partito subito all'attacco. Il motto del suo 'corpo' era, solo provando raggiungi la meta'. Ci provò, anzi ci provarono, e la meta fu presto raggiunta. Poiché era un esercitazione più che piacevole, ancor prima che la permanenza di Giorgio terminasse, la bella figlia della Città Bianca (Beograd, significa appunto città bianca) gli disse, più felice che turbata, che aspettava un figlio.

Fin dalla 'prima botta', che, entusiasta e frenetica, era stata decisiva.

Giorgio, sorprendendola, si dichiarò contento,

Per lui, non restava che sposarsi.

Figurarsi per lei...

Dopo poche settimane, la sposina serba, col pancino che già cominciava ad arrotondarsi, entrava nella bella villetta alla periferia di Roma, verso il mare.

Si stava bene, in Italia, fece qualche amicizia, ma soprattutto frequentava sue compatriote.

Purtroppo, Giorgio doveva assentarsi spesso, ma l'attesa era compensata dall'abbondantissimo recupero che spesso s'accompagnava ad altro generoso anticipo. Comunque, la solitudine, specie nel talamo, era struggente.

Per quanto mi risulta, e ci metterei la mano sul fuoco, Giorgio, almeno fino ad ora, è stato ed è il solo uomo che Marjaki abbia 'conosciuto'.

Ho accennato al fascino delle natiche. Per non dire delle appetitose e rigogliose tette.

Le conosco bene, non ne ho dimenticato il sapore, ma non posso riposare sui ricordi e vivere di essi. Ogni scusa e pretesto erano buoni per sfiorarle, e, possibilmente palparle diligentemente.

Più il tempo passava e più Marjaki diveniva un'ossessione, per me.

Quando era iniziata?

Non so.

Da sempre, ma specie negli ultimi tempi, la guardavo con un interesse che qualcuno definirebbe morboso

Forse perché, come anche dicevano gli altri, ero un po', come dire, precoce.

Avevo iniziato prestissimo le scuole, tanto sapevo già leggere ed anche un po' scrivere. Non andavo male, e me la cavavo anche sul campo sportivo. I miei compagni, ma specie le compagne, mi ritenevano cordiale, forse un po' esuberante, e questo favorì anche l'anticipo della prima esperienza sessuale. Molto piacevole, certo, ma non scacciava il chiodo fisso che avevo: Marjaki.

Girava per casa in audaci baby dolls,che avrebbero fatto arrapare un morto, la sua femminilità, diciamo così, non aveva misteri per me, e l'effetto era visibile al di là di quanto avessi voluto.

Inoltre, per lei le porte erano del tutto inutili, salvo quella principale, il portone.

Dormiva con la porta aperta, infatti era sempre Giorgio, a chiuderla, quando era in casa.

Nessun riserbo quand'era nella schiuma del bagno, e sotto la doccia, la sua preferita, non sempre tirava la tenda,.allagando, logicamente, il pavimento, che poi si metteva ad asciugare, nuda, assumendo le posizioni che si possono immaginare ed offrendomi lo spettacolo il cui solo pensiero provoca immediatamente l'effetto inamidante del mio fallo.

Lei non poteva non accorgersi di questo continuo mio stato di eccitazione. Non nascondo che avevo anche paventato qualcosa di patologico. Lo dissi perfino al medico. Lui sorrise e disse che dovevo ritenermi beatamente malato, e dovevo augurarmi che la natura mantenesse il più a lungo possibile tale stato... patologico, per il quale, in ogni caso, ogni femmina poteva fornirmi la terapia adatta.

Si, va bene, ma ve lo immaginate uno col coso sempre diritto?

E' vero che in un verso di un Carme Priapeo era scritto che 'a fallo diritto non manca fortuna'. Io, allora, a giudicare dallo stato dei fatti, avevo bisogno di tanta, ma tanta fortuna, ed era portata di mano: Marjaki.

Ero in giardino, sulla sdraia, e sfogliavo una rivista sportiva. Non mi ero accorto che mi era di fronte, logicamente in un ridottissimo bikini.

"Sin, domani vorrei andare al mare. Mi accompagni?"

"Certo."

"Vorrei partire prestino, per poter scegliere la cabina."

"Per me va benissimo."

"Grazie."

Si voltò per tornare a casa, con quel suo andare ondeggiante.

"Marijaki."

"Si?"

Si era fermata e voltata appena.

"Non mettere qualcosa di eccessivamente ridotto..."

Sorrise divertita.

"Sei geloso?"

In effetti lo sono, perfino del marito, figuriamoci degli sguardi degli altri. Otello, al mio cospetto, diviene un algido insensibile.

Scosse la testa, sempre sorridendo. Mi mandò un bacio con le dita.

Seguitò la sua strada, ebbi la sensazione, no la certezza, che ancheggiasse più del solito.

Non trovammo troppa gente e potemmo scegliere non solo la cabina ma anche il posto dell'ombrellone, sotto il quale facemmo mettere due lettini.

"Sin, andiamo in cabina, devi aiutarmi a mettermi la crema protettiva."

Mai invito fu più allettante.

Sotto la leggera gonna e la blusa, Marjaki già indossava il suo due pezzi. In verità, abbastanza normale, pur essendo troppo ridotto, a mio parere.

Cominciai a spargere la crema sulle gambe, partendo dai piedi. Lei era seduta sullo sgabello. Salii sempre più su, diligentemente, insistendo, specie nella parte interna delle cosce, e per tema che il sole la scottasse, andai anche nell'inguine, sollevando appena lo slip, per non farlo ungere, incontrando il crespo delizioso dei riccioli a guardia del luogo più bello del creato. Poi fu la volta delle natiche, che meraviglia, e quanto erano ben sode. Su, sulla schiena. Sentivo che era rilassata, distesa.

"Sin, vorrei prendere il sole in topless. Che dici?"

Il mio mmmmmm, forse per lei non voleva dire niente, ma per me diceva tanto. Intanto doveva togliere il reggiseno, che io giudicavo un po' troppo piccolo.

Ecco, ora ungevo attentamente le sue belle e floride tette, le impastavo, insistentemente, restandole alle spalle. Ogni tanto, anche se cercavo di stare attento, lo sperone che premeva nei miei calzoncini e forse stava per bucarli, le toccava la schiena. Seguitavo a cospargerle di crema. Non doveva scottarli. Girai intorno ai capezzoli, sfiorandoli col palmo della mano, e sentii che s'erano allungati e inturgiditi. Quando non potevo più giustificare l'insistenza del massaggio, le detti il reggiseno.

"Mettilo, Marjaki, il sole ti potrebbe far male, hai la pelle così delicata."

Mi guardò sorniona.

"Capisco!"

Indossò di nuovo il reggiseno.

Andò sul terrazzino della cabina. Notai, dallo spiraglio della porta semichiusa, che tutti gli occhi, anche delle donne, erano su di lei. Non mi giungevano i commenti, ma li immaginavo

Io, intanto, completamente nudo, ero vicino al lavandino e facevo scorrere l'acqua fresca sul mio fallo eretto, sperando di ottenerne un effetto... emolliente.

Marjaki, credo, aveva visto la manovra o perlomeno la intuiva sentendo lo scroscio dell'acqua.

"Sin, stai facendo la doccia a pezzi? Ti aspetto, non mi va di andare da sola all'ombrellone."

Aiutandomi anche con l'asciugamano sul braccio, la raggiunsi. Andammo a sdraiarci sui lettini.

Marjaki disse che non voleva bagnarsi. Anzi, sentiva la mancanza della privacy che, invece, le siepi e le tende di casa sua le garantivano.

"Se non ti dispiace, Sin, vorrei tornare. Potremmo fare un pranzetto lungo la strada, sento la nostalgia del sole del mio giardino."

"OK"

Il pranzetto consisté in filetto ai ferri con insalata, macedonia di frutta, vinello fresco e frizzante, caffè.

Entrando in giardino, fece un lungo sospiro di sollievo.

"Sin, per favore, ti dispiace sistemare il lettino di tela in quell'angolo dove batte il sole?"

Fu cosa di un minuto.

Lei tolse tutto, rimase nuda, si sdraiò sul lettino.

Ero abituato a vedere Marjaki girare per casa poco vestita, ed anche di assistere alle sue improvvise necessità di restare con le belle tette al vento. Avevo anche occhieggiato, appena possibile, la sua completa nudità. Ma sempre di sfuggita. Quella era la prima volta, però, che si offriva così alla mia vista. Completamente senza veli.

Sapevo bene che Marjaki aveva una certa tendenza disinvolta ad una sorta di spontaneo naturismo, era lontana da ipocrisie, superstizioni, e non mi sembra che per lei esistessero tabù. Del resto, a parte questa originale audacia, il suo comportamento poteva e doveva considerarsi impeccabile.

Mi era venuto anche da riflettere sulla possibilità che ci fosse, in lei, una specie di inconscio esibizionismo. Che provasse piacere mostrandosi ed eccitando gli altri? Me, in questo caso. Che, a sua volta, si eccitasse anche lei, di riflesso?

Mah! Quella tenuta, però, mi eccitava, enormemente, ma mi turbava, e non riuscivo a capirne il motivo.

Ero rimasto un po' lontano da lei, al di là della tenda che, come già detto, concorreva alla difesa della privacy. Pensavo che la mia presenza potesse metterla a disagio. Forse era un suo modo di scaricarsi, appartandosi: solamente lei e la natura.

"Sin!"

"Si, Marjaki."

"Se non ti dà fastidio che io stia così, vieni qua. Desidero parlarti."

Andai vicino a lei.

Uno spettacolo che mi sconvolgeva, rimescolava.

"Siedi qui, sulla sponda."

Sedetti, non sapendo dove mettere le mani. Decisi di sorreggermi ai bordi del lettino."

"Allora?"

"Sin, ho notato che spesso le tue lenzuola, al mattino recano alcune tracce..."

Deglutii a fatica.

"Lo so... ma me ne rendo conto quando é.... troppo tardi."

"Capisco. Devo essere indiscreta... non hai una ragazza?"

"No."

"Dovresti averla. Forse certe cose non ti capiterebbero."

"Non credo, mi è successo anche la notte dopo che ero stato con una donna..."

"Durante un sogno?"

Annuii.

"Sogno ricorrente?"

Seguitai ad dire di sì.

"Sogni sempre la stessa persona?"

"Si."

"Posso sapere chi è?"

"Non voglio dirtelo."

Mi prese la mano.

"Non vuoi dirlo a Marjaki?"

"No."

Sentivo che tremavo.

Lei assunse un'espressione seria.

"Sai perché sono così e ti ho chiamato?"

"No."

"Per cercare di farti capire che dobbiamo saper distinguere cose e persone. E' naturale che alla tua età si provino certe sensazioni, si abbiano certi impulsi, ma è indispensabile indirizzarli verso strade percorribili. E' una cosa che facciamo un po' tutti. Sono stata chiara?"

"Si."

"Mi prometti che mi ascolterai?"

"No."

Sembrò sorpresa, sconcertata.

"Per favore, Sin, dammi la vestaglia che è sulla sedia."

Mi alzai, la presi, tornai vicino a lei.

"Coprimi con quella... ho i brividi."

Strano sonno, quella notte.

Mi assopii, ma mi svegliai di soprassalto, come in preda a un incubo. E la cosa si ripeté. Ero nella penombra della camera, con gli occhi aperti che guardavano il soffitto, la mente affollata da una ridda di pensieri confusi.

La cabina, l'applicazione della pomata protettiva, la quasi improvvisa fuga dalla spiaggia, il sospiro al rientro, la strana ricerca d'una privacy che aveva tutta l'aria di una messa in scena per quell'ancor più strano, ma abbastanza evidente, discorsetto. L'essersi coperta con la vestaglia.

Era tutto enigmatico, o fin troppo chiaro?

In che senso chiaro?

La costante che m'assillava, tormentava, era il continuo ripetersi della mia irrequieta eccitazione. Più che evidente, specie per il fatto che, in quella stagione, indossavo solo la mia pelle.

Mi sembrò udire come un flebile lamento. Proveniva dal corridoio. La porta era aperta. Un gemito, come di chi implori aiuto. E si ripeteva, lungo, insistente, quasi angoscioso. Mi alzai, scalzo, mi affacciai sul corridoio. Era vuoto, appena rischiarato dalla poca luce che veniva dagli spiragli delle serrande, non perfettamente chiuse, delle camere. Le porte erano, come sempre, aperte.

Quella specie di lamento proveniva dalla camera adiacente alla mia, dove dormiva Marjaki. Mi accostai cautamente all'uscio, e gettai lo sguardo sul letto.

Marjaki era supina, la scorgevo chiaramente, con le ginocchia alte, si poggiava sui talloni, una mano la carezzava tra le gambe. Gli occhi chiusi, le labbra semiaperte lasciavano sfuggire il lieve mugolio che avevo sentito.

Rimasi dov'ero.

Piano, quasi sussurrando, la chiamai.

"Marjaki..."

"Si, sei tu?"

Voce strana, un po' roca, malinconica.

"Posso aiutarti, Marjaki?"

"Si, vieni qui."

Come potevo, ero nudo e col fallo eretto.

Lei chiamò di nuovo, quasi invocante.

"Sin... vieni qui!"

Veramente sono...

"Sin... vieni..."

Forse si sentiva male.

Mi accostai al suo letto. Era rimasta distesa, aveva abbassato le ginocchia. Il suo volto aveva un'espressione che non le avevo mai visto. Era bellissima, più che mai. Il seno splendido, il ventre piatto, il folto del suo pube. Sembrava una ragazza, non una donna della sua età.

"Sono qui, Marjaki."

"Vieni vicino a me, al posto di Giorgio..."

Mi sdraiai.

Si voltò, poggiandosi su un fianco, con la tetta sul mio petto. Sensazione conturbante. Sentivo su me quel seno sempre bramato.

Mi baciò sugli occhi, sulle labbra, sentii la sua lingua che si faceva strada. La ciucciai, golosamente, e le misi una mano sulla schiena, giù, sulla concupita bella e soda natica che sentii divenire ancora più soda.

Non riuscivo a credere che mi trovavo in quella situazione, in quella posizione, con Marjaki che saliva su me, afferrava il mio glande e vi si infilò con voluttuosa lentezza, avvolgendolo nel calore del suo corpo sognato.

Ero in Marjaki... in Marjaki... in lei... in quella splendida fica che avevo sognato, vagheggiato, pur sapendo che era un desiderio irrealizzabile. No, si avverava. Mi stava cavalcando focosamente, e sembrava volermi svellere il fallo. Tanto lo stringeva in sé, lo succhiava con le fantastiche pareti della vagina. Le sentivo sussultare, palpitare, stillare essenze inebrianti. Il gemito di prima, ora aveva tutt'altra modulazione, era impetuoso, pur sempre soffocato, come di chi sta per conquistare la meta ambita, per conseguire la vittoria a lungo sospirata. E si trasformò in urlo di conquista, lungo, incalzante, che raggiunse toni esaltati quando sentì invadersi dal mio seme che da sempre avevo serbato per lei.

Ai suoi gemiti si univa la sua , diversa da sempre, roca, nella sua lingua natale.

"Divan, Sin, divan... evo... evo.... Docem....jao....jos.... raj.... Raj... ooooooh!"

Meraviglioso... Sin, meraviglioso...ecco.... ecco.... vengo... ancora... ancora... paradiso....

Conoscevo un po' di quell'idioma, e anche io mi sentii in paradiso.

Come era accaduto? Come erano precipitati gli eventi?

Sembrava che fossero crollate le mura di Gerico, che avessero ceduto le dighe del Nilo.

Marjaki mi travolgeva, e voleva essere travolta.

Ora giaceva su me, mi stringeva in lei, gelosa, ancora col respiro grosso. Alzò il capo, mi guardò negli occhi, con un sorriso incantevole.

"Era scritto, Sin, era scritto..."

Ero ancora incredulo.

Carezzavo le natiche di Marjaki, quelle che per sfiorarle dovevo ricorrere a mille sotterfugi. E sentivo che trovavano piacevole la cosa e lo dicevano alla palpitante vagina che si contraeva voluttuosamente.

Lo stesso effetto provocava il lungo, insistente poppare della mia bocca avida, attaccata ai suoi invitanti capezzoli.

Non ci sono espressione sufficienti per descrivere certe sensazioni.

Fonte zampillante, per l' assetato.

Ricca mensa imbandita. per l'affamato.

Luce splendente, per lo smarrito nelle tenebre.

Quando giacque sulla schiena, mi sentii attratto dalle sue labbra. Le mordicchiai, lambendole nel contempo con la lingua, così sulle favolose tette, lungo il ventre. Mi piaceva sentire i suoi peli biondi sotto i miei denti, reciderli, percepire in bocca il loro morbido sapore. Stringere le sue grandi labbra, inserirmi tra esse, esplorare il sussultare del suo sesso, salire ad accogliere il piccolo bocciolo fremente che s'innalzava desideroso.

Marjaki, adesso, non era la donna disinibita e un po' scanzonata, sbarazzina anticonformista, matura e provocante, perfino apparentemente sfacciata. Era una bambina tenera, appassionata, bisognosa di coccole, nel contempo esigente e generosa, cedevole, accondiscendente, che offriva e pretendeva, desiderosa di donarsi, di ricevere, di far godere, di godere.

Non avrei mai finito di baciarla.

Mise le dita nei miei capelli, dolcemente spostava la mia testa, attirandola a sé, si di sé. Il mio corpo strisciava sul suo, il mio petto era sull'accogliente morbidezza del suo seno. E tra le sue gambe andava inserendosi il rinato turgore del mio fallo. Si dischiuse come un bocciolo in fiore, e lo guidò in lei, serrando le gambe sulla mia schiena. Intendere non può chi non lo prova.

L'alba ci sorprese intenti a 'dolci baci e languidi carezze', anche un po' sfiniti, ma non sazi.

Meravigliosa Marjaki.

Si assopì voltandomi la schiena, con il suo prezioso sedere sulle mie ginocchia, accogliendo soavemente il mio fallo tra le sognate natiche.

Il sogno si realizzava.

La fantasia diveniva realtà.

Quando si svegliò, sentì l'urgenza della mia eccitazione, ne fu lusingata ed eccitata, stimolata. Rispose prontamente al tacito ma evidente invito. E questa volta fui in lei, col ventre che batteva cadenzato sulle belle e sode chiappe.

Volle che l'attendessi a letto.

Andò a preparare la colazione, naturalmente così com'era, nuda.

Tornò col vassoio. Si accosciò nella posizione del loto, nello yoga. Mi imbocco come un bambino.

Mi guardava, inebriata.

"Il mio piccolo Sin, il mio Sin... chi avrebbe mai immaginato che potesse darmi tanta voluttà. Sei incantevole, tesoro mio. Avevo il paradiso a portata di mano e soffrivo l'inferno. D'ora in poi sarà sempre così... quando potremo. Vuoi?2

Annuii appassionatamente.

Disse che andava a fare una doccia, ma non voleva uscire da quel meraviglioso incanto.

La seguii.

La presi tra le braccia.

La strinsi ardentemente. E fummo di nuovo travolti dall'inestinguibile passione.

Mi sussurrava nell'orecchio parole incomprensibili.

Mi passò la lingua nell'orecchio.

La sentii bisbigliare.

"E' bello così, Sin, vorrei finire la mia vita in questo modo, per portarti con me nell'eternità. Vorrei conservarti in me, come segno del tuo e mio possesso: tu solo mio, io solo tua. Come potremmo, e potremo, fare diversamente? Quando non sarai con me mi mancheranno, i battiti del cuore. il respiro.

Dire di quei giorni sarebbe piuttosto confuso.

Ero l'ingordo che finalmente era giunto a ghermire il vaso di miele.

Era la bramosa che non poteva resistere al vuoto del suo grembo.

"E' fatta per te, Sin, e il tuo è fatto per me. Non mi accadrà mai più, al mondo, di sentirmi così. Perché mai nessun altro prenderà il tuo posto..."

Rimaneva pensosa, anche infelice, perché sapeva che non avrebbe potuto sottrarsi al suo obbligo coniugale.

Sentivo che voleva 'fare il pieno', come accumulare una riserva pèer il futuro... Ma non riusciva neppure a esaudire il presente. Era inesauribile. Come me, del resto, ma io avevo quasi vent'anni meno di lei. Forse era proprio per questo che voleva riacquistare quello che considerava il tempo perduto.

Avevamo deciso di uscire. Dovevamo fare alcune compere.

"Aiutami a vestirmi, Sin."

Io, veramente, preferivo spogliarla.

In camera, si avvicinò al letto, vi si gettò sopra, come se fosse stanca, a pancia in giù. Fece cenno con la mano di avvicinarmi.

Era irresistibilmente invitante.

ULISSE
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